Uno dei contenuti psicologici con cui ho più a che fare, nelle sedute con i/le pazienti, è il famigerato senso di colpa.
Su questo molto si è scritto e forse pure troppo si è detto, a mio parere con una certa dose di parac**aggine da parte di alcun*.
Collegh* schierati contro l’esistenza stessa del senso di colpa, ci esortano, a prescindere, a liberarci di inutili zavorre: “hai fatto ciò che volevi? Allora a posto, non pentirti mai, vai in pace!”.
Al polo opposto, adult* convint* di poter educare solo appesantendo doveri e responsabilità col carico della colpa: “se non fai così, non sei un/una brav* bambin*”, “se non mi ascolti finisci male”, o addirittura “se non fai quel che dico, mi fai star male!”.
Con bambin* e adolescenti non dobbiamo invece – da genitori, da insegnanti, da figure di riferimento in generale – fare leva sui sensi di colpa, perché generiamo in loro un’incontenibile angoscia che facilmente apre la strada o a una deriva depressiva pericolosa, oppure ad un’oppositività ad oltranza, dettata dai tentativi disperati, e continuamente frustrati, di trovare un po’ di ascolto.
Molto probabile che parliamo così a loro perché già siamo abituat* a far lo stesso con noi, a darci addosso con autocritiche dure e incompassionevoli, le quali peraltro l’unico obiettivo che raggiungono è il nostro malessere, non certo il nostro cambiamento.
Guidare noi stess* verso una maggior comprensione dele nostre fragilità, delle nostre paure, delle nostre difficoltà a fare ciò che vorremmo ma che non riusciamo a fare, è la chiave per progredire nella nostra evoluzione personale e dunque per accompagnare serenamente chi a noi è affidat* per la propria crescita.
Che fare allora se ci sentiamo in colpa? Parliamoci! Lasciamo che avvenga un dialogo costruttivo dentro di noi. Non fomentiamo scontri interni o lotte impari dove una voce prepotente schiaccia l’altra più debole. Favoriamo l’ascolto della voce che si sente colpevole, inadeguata, in difetto, ma anche della voce giudicante e severa, mettendole alla pari, ristabilendo una comunicazione equilibrata: facciamo in modo che non salti fuori una sentenza – né di condanna, né di assoluzione – e che il dialogo interno porti invece a comprenderci, a focalizzare l’attenzione sulle valide ragioni che abbiamo avuto per attuare comportamenti di cui a quanto pare non siamo così soddisfatt*, al contempo sulle parole e i toni, autorevoli e rassicuranti, accoglienti, seppure non deresponsabilizzanti, che possano diventare per noi un valido incoraggiamento (vedi anche qui mio post sulla gentilezza). Preferiamo essere confortat*, rassicurat* e incoraggiat*, da una voce che ci parla come la signorina Rottermeier di Heidi, o dalla voce di Albus Silente di Harry Potter? Ascolto, comprensione, autorevolezza, queste sono le armi che ci occorrono per supportare noi stess* nel processo di miglioramento perpetuo come Esseri Umani. E solo questi sono gli strumenti efficaci per supportare i/le nostr* ragazz* nel loro, personale, percorso di sviluppo e maturazione delle proprie competenze emotive, cognitive, relazionali, sociali.