Il cutting, ‘tagliarsi’: fenomeno inquietante e strisciante, come non mai in altre epoche, tra i/le nostr* adolescenti. Autolesionismo è il fenomeno per cui si attaccano intenzionalmente parti del proprio corpo, di solito braccia e/o gambe (senza intento suicidario). Si usano lamette, coltelli, pezzi di vetro, oppure ci si brucia con accendini, ma questi sono solo alcuni esempi.
Il suicidio è la seconda causa di morte tra gli adolescenti europei, dopo gli incidenti stradali (rapporto Unicef aggiornato); è in aumento, tra gli/le adolescenti, l’abuso di alcool e droghe; diminuisce l’età in cui si accede a queste sostanze; è sempre più diffuso, in età precoce, il gioco d’azzardo online; esistono vari blog e forum (gestiti da adolescenti) che incentivano le condotte autolesioniste. In alcune ricerche, hanno confrontato i siti che inneggiano all’anoressia, con i portali il cui mito è l’autolesionismo: pare che, mentre i primi negano il disagio (e magari ne parleremo in un prossimo post), invece i siti sull’autolesionismo ‘adottano il dolore come elemento di aggregazione’ (Margherita & Gargiulo, 2015).
Psycho-collegh*! Genitori! Come non essere preoccupati? Già! Fatico ad elargire rassicurazioni, in tutta onestà.
Le cause di questi comportamenti sono come sempre plurime e variegate e vanno ricercate nella storia individuale, per cui credo non sia nemmeno così utile ipotizzarne qui un elenco. Vorrei invece focalizzare l’attenzione proprio su una riflessione, emersa qualche giorno fa, in un gruppo di intervisione tra collegh*. Se la diffusione dei siti sull’autolesionismo ha come chiave ‘il dolore quale elemento di aggregazione’, questi atti di violenza contro se stess* sono allora (anche) un disperato tentativo di fronteggiare la solitudine, una ricerca di vicinanza, di ascolto, di condivisione. Non mi trovo infatti d’accordo con chi parla di autolesionismo come di ‘vuoto emotivo’, come di ‘una spasmodica ricerca di sensazioni ed emozioni forti’. Proprio al contrario! Credo che ci si faccia del male fisico per poter placare il proprio Dolore, per trovare un briciolo di conforto al Dolore dell’Anima!
Forse noi adulti troppo poco spesso ci ricordiamo che dovremmo avere questa funzione? Poniamocela questa domanda: io per prima, da madre, e da terapeuta…
Siamo una generazione di genitori in prima linea, ad evitar loro ogni frustrazione, non neghiamo ai/alle nostr* figli* smartphone e vestiti alla moda, perché ‘non si sentano da meno degli altri’, poi siamo così distratt* da (queste) nostre ansie, che non ci accorgiamo di dover soffermarci sulla loro sofferenza vera, quella che forse non ci sanno comunicare a parole, ma che in fondo celano solo un po’, sotto maniche e calzoni lunghi d’estate, come a chiederci di rivolger loro uno sguardo solo un po’ più attento, una domanda solo un po’ più sincera, un’attenzione solo un po’ meno superficiale.
‘Solo un po’, solo un po’ mi calmo quando mi taglio’, mi dice Giada, in seduta. E con due occhioni marroni che mi squarciano il cuore, aggiunge: ’forse mi calmerei un po’ di più, se qualcuno mi abbracciasse quando sono così agitata’. E io me la abbraccio Giada, me la abbraccio con tutta la forza, più tenera, che ho!