Rivolgersi con gentilezza a familiari, collegh*, amici/amiche, anche a sconosciut*, non è affatto segno di debolezza o di scarsa personalità, come quell* arroganti – e che cercano solo il proprio interesse -vorrebbero far credere.
Urliamo con i/le nostr* bambin* perché siamo convint* che sia l’unico modo per farci ascoltare, senza aver magari nemmeno mai provato a chieder loro le stesse cose con calma, e soprattutto senza aver mostrato per prim* una vera disponibilità all’ascolto. Ci muoviamo rigidamente nel nostro orticello a lavoro, propinando frasi del tipo ‘non è compito mio’, o ‘non so cosa dirle’, senza provare a spendere qualche parola, o qualche gesto garbato, per proporci, per prim*, positivamente, nelle relazioni, e magari eventualmente lanciandoci fino al tentativo di risoluzione di problemi, anche laddove non dipendano esclusivamente da noi (quel che conta – e che ‘passa’ all’Altr* – è l’intenzione, in fondo).
Ci esprimiamo per generalizzazioni: ‘sono tutti uguali questi impiegati pubblici’, ‘i clienti sono dei gran maleducati’, ‘non ti puoi fidare di nessuno nella vita’ … poi se parliamo di noi stess*, preferiamo dirci ‘avrò avuto i miei motivi se ho reagito così’.
Sono fastidiose, vero, queste mie frasi? E certo! Sono altrettanto generalizzanti, questo è l’effetto che fanno! Ci arrabbiamo se in mezzo alle categorie stereotipate veniamo schedat* noi!
Proviamo allora a dare il famoso BUON ESEMPIO. Che può voler dire, anche, uscire dalle generalizzazioni, cercare di comprendere le Persone, e i ‘loro motivi se hanno agito così’, cercare di offrire gentilezza per prim*, non solo dopo aver verificato se la riceviamo.
Un famigerato bandito diceva ‘sarò completamente onesto quando la gente sarà completamente giusta’… non è tanto diverso dal ‘ti rispetto se mi rispetti’, così in voga oggi…Non diffondiamo banditismo – per favore! Spacciamo invece gentilezza, che è cosa molto più intelligente, persino in una prospettiva di sano egoismo, da cui possiamo poi beneficiare tutt*.
Collegh* psycho, mi convinco sempre più che, tra le nostre preziosissime funzioni sociali, col fine del Bene comune – che noi dobbiamo perseguire – ci sia anche questa di veicolare gentilezza, agendola noi – o almeno cercando di tenere sempre presente questa intenzione – e accompagnando i/le nostr* Pazienti nel personale percorso di gentilezza verso Sé, e al contempo verso l’Altr*. Non certo una discesa agli inferi della vile o controproducente accondiscendenza, tutt’altro: un cammino che parte dalla (ri)presa di contatto con i nostri bisogni profondi, per muoverci serenamente nel mondo, in direzione dell’affermazione legittima di Sé, nel rispetto e nella promozione della Reciprocità.