Negli ultimi anni, da quando è ormai, per fortuna, decaduto il pregiudizio rispetto a chi si rivolge a noi psycho – e da quando il settore sta perciò diventando occasione di business – la psicologia sta venendo maneggiata da personaggi che non hanno titolo, che poco conoscono le ricerche scientifiche su cui si fondano i vari modelli teorici riconosciuti, che male utilizzano queste (già scarse) conoscenze, nel proporsi, ad esempio, come formatori/trici e motivatori/trici, o (pure peggio!) come “professionist* dell’aiuto”, in percorsi che ILLEGALMENTE definiscono “psicologici”: illegalmente perché solo lo/la psicolog* e lo/la psicoterapeuta possono fare interventi psicologici – e perdonatemi la ripetizione e la banalità, ma a quanto pare non c’è mai nulla di scontato. Non possono fare interventi psycho: il/la filosof*, il/la sociolog*, l’insegnante, il/la coach, il/la pedagogista, l’estetista, il/la counselor, l’operatore/trice olistic*, l’ingegnere, il/la manager, il/la nutrizionista, ecc. ecc.
Una Paziente mi ha detto: “ho cercato di essere ottimista come mi hanno spiegato al corso …sa, ho fatto una formazione a lavoro sulla gestione della rabbia con la psicologia positiva…per un po’ funziona… poi quando esplodo esplodo però!”; un altro Paziente mi dichiara: “sono qui perché soffro di attacchi di panico, mi piacerebbe avere quella serenità che vedo in Tal dei Tali…sa, leggo i suoi libri e vado sempre ai suoi eventi, costano abbastanza ma esci di lì che ti senti motivatissimo, predisposto verso il tuo benessere e la realizzazione dei tuoi sogni…ma non so, io dopo mi perdo, non riesco!”.
Prima di scoperchiare delle pentole (e non ci vuole tanta fatica a tirare su i coperchi) bisogna avere le competenze per gestire quel che bolle in pentola, e l’onestà, il dovere morale, di riconoscere i propri limiti, che ad esempio derivano proprio dal non poter fare un mestiere per cui non ci si è formati e addestrati! C’è anche caso che il mestiere e l’abilitazione ci siano, che li abbiamo, ma i limiti dobbiamo allora avere chiaro che sono anche insiti nei contesti stessi in cui interveniamo: un esempio su tutti, non si fanno interventi di “cura” in un corso di formazione! Punto.
ll problema è che “pompare” i partecipanti inneggiando alla “motivazione” del “se vuoi puoi”, senza che nemmeno peraltro si sappia nulla di loro, non è semplicemente neutro e senza effetti, ma fa invece dei danni: si alimentano sensi di colpa che si trasformano in depressione, ad esempio!
Non amo fare polemica fine a se stessa, ma voglio correre il rischio di risultare polemica, se l’obiettivo è proteggere chi non può farlo perché non ha gli strumenti. Se ne potrebbe parlare a lungo, qui ho solo voluto aprire una finestrella di consapevolezza sulla tutela fondamentale delle Persone, che comincia sempre da una corretta informazione. E dal DIALOGO CON LA NOSTRA COSCIENZA.