Psycho- collegh*, perché la Relazione d’Aiuto deve essere a-simmetrica? Perché la Responsabilità l’abbiamo noi! La responsabilità di far funzionare la Relazione con i/le Pazienti, la responsabilità di guidare le Persone nella direzione in cui da sole non riescono ad andare (e che naturalmente abbiamo con loro concordato), la responsabilità di tenere duro anche quando il/la nostr* Paziente barcolla, la responsabilità di trasmettere fiducia nel cambiamento, di ripercorrere i passi fatti come sprone per andare avanti, ancor più quando la memoria dei progressi rischia di sfumare per difficoltà contingenti.
Tutto questo – mi allargo – vale per qualsiasi Relazione, tranne quelle ‘alla pari’, ossia non vale per: Relazioni di coppia, Relazioni amicali e Relazioni tra collegh*, dove le responsabilità sono fifty fifty. Per tutte le altre Relazioni, interagiamo sempre con l’Altro/a avendo un Ruolo (non per forza d’aiuto) che si posiziona in modo sbilanciato per Responsabilità. E chi deve avere chiaro che quella Relazione è, e deve restare, a-simmetrica, deve essere chi tra le due Persone ha il Ruolo di Responsabillità: dunque dobbiamo averlo chiaro noi psycho (e non per forza, o non sempre, i/le nostr* Pazienti); devono averlo chiaro i genitori, devono averlo chiaro gli/le insegnanti, deve averlo chiaro chi svolge funzioni da pubblico ufficiale, ecc.
Non occorre pensare ad episodi eclatanti e gravi, non serve che mi riferisca a maltrattamenti, abusi o violenze; il problema anzi è spesso ‘senza soluzione’, nella ‘normale’ quotidianità, proprio perché non riconosciuto come un problema, dunque tale da danneggiare subdolamente. Un genitore pervaso dalla convinzione che il figlio sia ‘ingestibile’ (magari perché il fratello è sempre stato obbediente) si chiama fuori dalla responsabilità educativa, scaricandola (inconsapevolmente) sul figlio e dunque portando la Relazione in una simmetria che non deve esserci. Un insegnante che trae soddisfazione da chi ha buoni voti e buona condotta e si rode il fegato per lo stress dovuto ad alliev* che non rispecchiano gli standard attesi di studio, apprendimento e comportamento, delega (inconsapevolmente) la responsabilità formativa (di far crescere ragazzi e ragazze nella propria Umanità, prima di tutto) ai/alle discenti, spingendo la Relazione in una controproducente simmetria. Un vigile urbano che tratta malamente chi – seppur in torto – sta beccandosi una multa, esce dal Ruolo (peraltro sottolineato dalla divisa in questo caso) e agisce un meccanismo del tipo ‘se tu non mi rispetti io non ti rispetto’ che in realtà, in generale, anche in relazioni paritetiche, è disfunzionale, figuriamoci quanto sia scorretto in dinamiche impari!
Una mia paziente che fa l’hostess di volo è, da lungo tempo, molto molto arrabbiata con sua figlia, adolescente in pretesa di ‘fare sempre quello che vuole’; la mia paziente (come capita a noi genitori, nessuno immune) finisce spesso per fossilizzarsi sul fatto che la figlia ‘non dovrebbe pretendere, dovrebbe capire, dovrebbe essere grata per i sacrifici’, ecc. ecc. Per aiutarla ad uscire dal tunnel delle convinzioni inutili e fuorvianti, mi è venuto in mente di chiederle: ‘Ma tu sei arrabbiata con i passeggeri che in aereo ti fanno delle richieste?’; lei: ‘Cosa c’entra? E’ il mio lavoro, il mio compito è anche di aiutarli a star sereni se hanno paura e comunque io sono lì per indicargli quello che possono o non possono fare, è il mio ruolo! Ci sono anche passeggeri maleducati ma io non posso mettermi contro!’; io: ‘E perché no?’; lei: ‘Perché sennò non faccio bene il mio lavoro! E ho anche la responsabilità di mantenere una buona atmosfera in aereo, non posso dare un cattivo esempio!’. Io: ‘…’ (in silenzio così da permetterle di riascoltare le sue stesse parole appena pronunciate); lei: ‘…In effetti dovrebbe valere anche con mia figlia questa cosa di sentire io la responsabilità di mantenere una buona atmosfera e di darle l’esempio…’. … Attenzione adesso, qui viene la parte più delicata: se lascio questa mamma alle prese col suo senso di colpa (che prima cercava di non sentire – dato che fa male – liquidando la figlia come ‘difficile/impossibile da gestire’), non la aiuto ma le dò anzi il colpo di grazia! Se invece, ora che si è riappropriata della responsabilità del ruolo, la rassicuro (che sua figlia non è ‘riuscita male’ ma fa solo il suo mestiere di adolescente), la sostengo (riconoscendo le sue fatiche e le sue intenzioni di ‘far bene’ come genitore), la posso prendere per mano e accompagnare verso un cambiamento. Devo stare anche attenta a farle vedere gli episodi di conflitto con la figlia – che comunque ci saranno – non come degli errori irrimediabili ma, all’opposto, come occasioni per acquisire sempre più consapevolezza dei propri automatismi e dunque come esperienze trasformative. Dico spesso ai miei Pazienti genitori (e a me stessa) che sarebbe impossibile dire e fare sempre la cosa giusta, men che meno in questo ruolo, e che dunque non dobbiamo nemmeno porcelo come obiettivo o ci infiliamo in battaglie perse. Non sono l’esplosione estemporanea, o la parola infelice che ci scappa, o la settimana in cui vediamo nero e siamo intrattabili e urliamo, oppure la giornata di mutismo, che fanno davvero la differenza. Ciò che fa la differenza è lo stile educativo, l’impronta che diamo alla Relazione, la tendenza che muoviamo nel lungo termine. E ciò che inoltre fa la differenza è l’intenzione con cui cerchiamo di guidare chi abbiamo a cuore, da genitori, da insegnanti, da figure educative, da professionist* dell’aiuto, da psycho.
Buone intenzioni e consapevolezza della direzione da seguire, senza pretese di perfezione, anzi mettendo in conto che qua e là ci saranno stanchezze, crolli, inadeguatezze, paure, difficoltà… sono la chiave per una salutare gestione della a-simmetria.
Dunque, se ci rendiamo conto che stiamo prendendoci cura di Pazienti di cui da un po’ ci ritroviamo a lamentarci (in supervisione e/o in intervisione con collegh* psycho), perchè non ci ascoltano, non migliorano, non cambiano, sono difficili o ingestibili… per favore, fermiamoci un momento ad ascoltarci, e domandiamoci – senza giudicarci né accusarci – se c’è qualcosa di diverso che possiamo fare noi per quella Persona e/o se immaginiamo che qualcosa di diverso possa fare qualcun altro al nostro posto, o se possiamo adoperarci in rete con altr* Professionist* (medico di famiglia, psichiatra, figura educativa, ad esempio) e/o con altre risorse territoriali (centri sociali, laboratori teatrali, associazioni sportive, tanto altro ancora…). Non legittimiamoci a ristagnare nella lamentela, buttando sui/sulle Pazienti la responsabilità di avere pochi strumenti, o poca motivazione, o poca perseveranza, o poco di qualsiasi altra cosa. Piuttosto, ultima ratio, riflettiamo (in supervisione) se sia il caso di sospendere il percorso con quella Persona (ma di questa rara evenienza vi parlerò prossimamente).
PERCHE’ LA RELAZIONE D’AIUTO DEVE ESSERE A-SIMMETRICA?
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