E SE IL PAZIENTE MI CONTATTA VIA WHATSAPP?


Partiamo dal dire che, più che un’eccezione, ormai è quasi la regola che le Persone ci scrivano e non ci chiamino, in particolare se si tratta di giovani. Spesso le Persone ci contattano sin dalla prima volta via whatsapp, ma anche via mail, o tramite social, se li usiamo (ah, nel caso – lo scrivo per scrupolo – che siano profili social professionali, mi raccomando! N.B. In un prossimo post mi soffermerò sulla coerenza tra la nostra immagine social professionale e quella personale). Conosco collegh* che, a mio parere per vecchi retaggi, evitano di utilizzare whatsapp, e in generale la comunicazione scritta, con i/le Pazienti, e che fissano appuntamenti solo sentendo la Persona telefonicamente. Non ho molto da dire a chi, per indiscutibile scelta che rientra nel proprio stile personale, decide di comunicare solo oralmente (taccio però se si lamenta di ‘non lavorare abbastanza’ perché anche questa ‘scarsa disponibilità’ incide – fidatevi). Vorrei porre un attimo l’accento sui motivi per cui non si dovrebbe comunicare con messaggi o mail: 1) per limitare/evitare le invasioni del nostro tempo libero da lavoro, 2) per limitare il nostro utilizzo del cellulare, 3) per non incorrere in fraintendimenti, 4) per ‘tutelarci’. Esamino i motivi a partire dal fondo. Tutelarci è sacrosanto quanto tutelare il/la Paziente (per questo paghiamo le assicurazioni, per questo siamo meticolos* coi consensi informati, per questo stiamo attent* a fare le cose in regola da ogni punto di vista); ‘tutela’ non deve significare “parac…aggine” o ‘ipocrisia’ e soprattutto concetti del tipo: ‘mai lasciare traccia di quel che diciamo’! Non so che effetto fa a voi ma io mi rattristo e mi incavolo se mi imbatto in queste affermazioni! Scusate ma diventa una questione di correttezza e deontologia e se vale il concetto di ‘operare secondo coscienza’, ciò che dico e ciò che scrivo devono avere lo stesso valore, la stessa credibilità, quindi mi appello al postulato di mia nonna ‘male non fare, paura non avere’ anche nella versione ‘male non dire (e non scrivere), paura non avere’. Una nota rispetto a questo: certo che non mi metterò a conversare abitualmente con Pazienti via social o su whatsapp, ma non ritengo saggio, né per la mia salute professionale, né per la salute del/della Paziente, ignorarl* se ci invia un augurio o una battuta, ma nemmeno se ci scrive in un momento di difficoltà. Spiegherò sin dalla prima seduta alle Persone le ‘regole’ (vedi anche qui): possono scrivermi e non disturbano perché ‘quando leggo – e non necessariamente in tempi brevi – vuol dire che posso’. Con questa piccola frase la Persona si sente accolta, rassicurata ma anche autorizzata e guidata da noi, il chè è fondamentale (leggi anche questo mio post a proposito di ‘guidare noi e di non farci portare dal/dalla Paziente). Vi garantisco che in 20 anni di lavoro, mai qualcuno si è approfittato della mia disponibilità. Accade che mi scrivano ma la maggior parte delle volte è per una velocissima condivisione, ad esempio di un sogno che li/le ha spiazzat* (che poi approfondiremo in seduta), di un proprio nuovo atteggiamento di cui si sono stupit*, di un avvenimento che aspettavano con ansia (ad esempio se hanno passato un esame o se qualcosa non è andato in porto); tenere questo ponte di comunicazione aperto (ripeto: leggiamo e rispondiamo NON IN EMERGENZA MA QUANDO POSSIAMO) a mio parere dà tanti benefici per l’alleanza terapeutica, e gli svantaggi – che possono essere quelli elencati nei primi 3 motivi di cui sopra – sfumano con la nostra capacità di gestione, che peraltro si affina col tempo e l’esperienza. Accade a volte – vero – che le Persone ci scrivano in loro momenti di sconforto, di rabbia, di tristezza. Non nego siano le situazioni più delicate da gestire. Quasi sempre la possibilità di contattarci per questo è terapeutica di per sé. A volte il nostro dedicargli/le un pochino di tempo fa la differenza e riporta un po’ di luce e fiducia nella giornata buia. A volte – ma per fortuna capita davvero di rado – ci troviamo a fare i conti con una richiesta di aiuto che arriva dal/dalla nostr* Paziente in forte crisi e questo non è mai augurabile o piacevole, ma può succedere. Non credo però che sia utile per nessun* raccontarsi che sia meglio essere irreperibili telefonicamente. Non siamo onnipotenti – non scordiamolo mai! – ma intercettare (anche grazie ad un vero colpo di fortuna) un momento critico del/della nostr* Paziente può essere decisivo. Non siamo onnipotenti – meno male! – ma siamo responsabili. Lavorare con le Persone comporta che ci troviamo faccia a faccia con drammi immensi e, se non abbiamo il coraggio (insieme a tantissima paura) di ‘starci’, non possiamo reggere i rischi (emotivi) di questa professione. Non mi dilungo oltre, ripristino un po’ di leggerezza tornando al tema del preservare il nostro tempo libero e del limitare il nostro utilizzo del cellulare: semplice, se sentiamo di essere carenti in tali capacità, poniamoci l’obiettivo di migliorare, con le idee chiare e tanto allenamento (la nostra terapia personale può aiutarci). Rispetto al rischio di fraintendimenti, ricordiamoci che il nostro mestiere E’ Comunicazione quindi possiamo ‘sbagliare’ in quanto esseri umani fallibili, come chiunque, ma si tratta di errori rimediabilissimi, sempre col potere delle parole, scritte o dette che siano. Soprattutto perché – salvo drammaticità delle richieste di aiuto (su cui tornerò prossimamente) – il dialogo clinico è quello in seduta dove abbiamo spazio, tempo e modo per prevenire e rimediare incomprensioni e per affrontare i Contenuti Profondi con Calma e Cura.

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